http://iltirreno.gelocal.it/pistoia/cronaca/2014/01/25/news/rogo-al-poligono-chieste-due-condanne-1.8539155Rogo al poligono, chieste due condanne
Per il pm una gestione sconsiderata portò alla morte di Riccardo Tarlati: «Un anno e mezzo a presidente e direttore di tiro»
PISTOIA. Una gestione sconsiderata, privatistica nell’accezione peggiore del termine, senza alcun rispetto delle più elementari direttive tecniche di sicurezza. Insomma, quell’incendio non sarebbe potuto divampare se pareti e pavimento non fossero stati ricoperti di residui incombusti di polvere da sparo, come invece erano a causa di tali inadempienze. E le sue conseguenze non sarebbero state così tragiche se il direttore di tiro si fosse trovato, come suo dovere, in una posizione da cui tenere sotto controllo tutte le postazioni e, così, poter dare immediatamente l’allarme e gestire una situazione d’emergenza in cui pochi secondi hanno segnato la differenza tra la vita e la morte.
Due le condanne che ieri mattina, al termine della sua requisitoria, il pm ha chiesto nel processo per la morte di Riccardo Tarlati, noto commerciante e fotografo pistoiese che perse la vita nel terribile rogo che, il 24 luglio 2007, devastò il Tiro a segno nazionale di via dei Macelli, dove si trovava per esercitarsi con il suo fucile. Per il reato di omicidio colposo, il procuratore capo facente funzioni Giuseppe Grieco ha chiesto un anno e mezzo di reclusione ciascuno per Daniele Cecchi, allora presidente del Tiro a segno (difeso da Andrea Niccolai), e per Carlo Rocchi (avvocato Giuseppe Castelli), componente del direttivo e, in occasione del drammatico incidente, direttore di tiro.
Chiesta invece l’assoluzione per Paolo Banci, difeso da Cecilia Turco: altro membro del direttivo, era il responsabile della pulizia delle linee di tiro, ma, secondo il pm, a fronte della conformazione del poligono e delle attrezzature a sua disposizione, neppure lavorando per 24 ore al giorno avrebbe potuto eliminare i micidiali residui di polvere da sparo. In particolare, lavando con l’acqua pareti e pavimento, non avrebbe fatto altro che spostare le polveri incombuste, che non sono diluibili.
Le arringhe dei difensori sono previste per i 10 febbraio.
Il rogo mortale si verificò nella zona del poligono definita linea dei 100 metri: una struttura definita ibrida, in quanto il tiratore si trova al chiuso e spara ad un bersaglio esterno distante 100 metri attraverso una piccola finestrella nella parete di fronte, a qualche metro da lui. Usando le parole del pm, una sorta di scatola completamente chiusa, suddivisa da un muro in due ambienti (con due linee di tiro ciascuno), uno dei quali suddiviso a sua volta a metà da un’altra parete. Il tutto con una sola uscita. Lì Tarlati rimase intrappolato quando le fiamme divamparono a causa delle scintille di uno sparo finite sulle pareti coperte di polvere incombusta.
Prima responsabilità del Cecchi, secondo il pm, è quella di non aver assicurato la bonifica dell’ambiente. Seconda, quella di aver consentito, a suo rischio e pericolo, che l’attività andasse avanti in una struttura realizzata senza il rispetto delle direttive tecniche del Genio militare (massima autorità in materia) e priva di un’agibilità che mai avrebbe potuto ottenere.
Per quanto riguarda Rocchi, stante il fatto che la linea dei 100 metri non aveva l’obbligatoria postazione per il direttore di tiro, il pm ritiene che l’imputato avrebbe dovuto comunque piazzarsi nel punto più idoneo da cui controllare l’attività dei tiratori. Invece si trovava in una delle linee di tiro, probabilmente per esercitarsi lui stesso visto che nel registro risultava iscritto tra coloro che doveva sparare. «È come se un arbitro di tennis – ha spiegato il pm – non trovando il trespolo su cui sedere, andasse a seguire la partita in tribuna e non al bordo del campo. Rocchi si sarebbe dovuto mettere con le spalle appoggiate allo stipite della porta del muro divisorio, la posizione più idonea a garantire lo svolgimento del suo dovere».
Da lì si sarebbe subito accorto di ciò che stava succedendo e avrebbe potuto dare direttive immediate per fare uscire tutti in una situazione in cui ogni istante si sarebbe rivelato prezioso: 14 i secondi intercorsi dal momento in cui è divammpata la prima fiammella e quello in cui il locale si è trasformato in un inferno.
Il pm Grieco è poi passato ad analizzare la condotta della vittima: secondo le difese avrebbe deciso di sua volontà di rientrare per recuperare la propria arma, interrompendo così il nesso causale tra le responsabilità per l’incendio e la morte. «Tarlati, al pari di tutti gli altri tiratori – spiega il pm – non è messo in condizione di valutare il pericolo perché chi doveva dare istruzioni è già fuori dal locale. Nessuna indicazione viene data sul da farsi. Nessuno dice “Alt! Tutti fuori e non rientrate!” Infatti tutti rientrano a prendere il fucile perché quando erano usciti avevano visto solo una fiammella. Non credevano che vi fosse un pericolo grave. In tre rientrano in quella stanzetta, poi purtroppo fanno scelte diverse che portano verso diversi destini». (m.d.)