http://iltirreno.gelocal.it/pistoia/cronaca/2013/05/17/news/rogo-al-poligono-imputati-in-silenzio-1.7082251Rogo al poligono, imputati in silenzio
All’udienza per la morte di Riccardo Tarlati il presidente del Tiro a segno e il custode scelgono di non rispondere
PISTOIA. All’udienza per il tragico rogo al tiro a segno del 24 luglio 2008, ieri, i protagonisti avrebbero dovuto essere gli imputati: il presidente del circolo Daniele Cecchi, il direttore Carlo Rocchi e il custode Paolo Banci. Tutti accusati di omicidio colposo per l’atroce morte di Riccardo Tarlati, fotografo sessantenne con la passione delle armi. Invece Banci e Cecchi (difesi rispettivamente dagli avvocati Turco e Niccolai) hanno preferito non rispondere in aula alle domande del pm Giuseppe Grieco, degli avvocati e del giudice Luca Gaspari. Assente l’unico dei tre che era pronto a rispondere, Carlo Rocchi (difensore Giuseppe Castelli).
È toccato quindi alle parti civili sfilare sul banco dei testimoni e rivivere una tragedia che ha lacerato per sempre le loro vite. È il caso di Andrea Tarlati, 41 anni, che faceva il tecnico alla General Electric, in provincia di Livorno quando suo padre morì. «Quel giorno mi chiamarono al telefono, venni di corsa. Al tiro a segno c’erano tanti amici del babbo, ma nessuno aveva il coraggio di dirmi cos’era successo».
Riccardo Tarlati, quel terribile 24 luglio 2008, stava sparando con il fucile insieme ad altri due soci, quando la scintilla emessa da una delle armi (quella di Marco Maccioni, che però risulterà in perfette condizioni) appiccò il rogo che in pochi secondi trasformò in un inferno gli stand delle linee di tiro. Gli altri riuscirono a sfuggire alle fiamme: non così Tarlati, che fu trovato dai soccorritori all’interno dello stand, ucciso probabilmente dalle esalazioni di fumo prima che dall’intenso calore. Dopo lo choc subito, Andrea Tarlati cambiò lavoro. «Non potevo più lavorare da solo, come facevo prima». Subentrò al padre nella gestione dello studio fotografico: anche per lui una grande passione, e poi non se la sentì di cederlo ad estranei. La sorella Alessandra ha raccontato dei suoi problemi nervosi successivi alla tragedia, così anche la moglie che deve spesso far uso di ansiolitici.
Dopo le commoventi testimonianze dei familiari della vittima, è iniziato l’esame dei testi delle difese. Tra questi, un carabiniere, Claudio Mascii, socio dal 2006 del tiro a segno. Lui, come anche altri testi ieri, ha ribadito che nell’impianto di via dei Macelli ha sempre trovato postazioni e linee di tiro lavate e pulite (secondo l’accusa, a scatenare l’incendio potrebbero essere state polveri incombuste).
Lunga la deposizione dell’ex presidente del circolo (dal 2004 al 2006), Andrea Panerai. Anche lui ha ribadito l’attenzione con cui l’addetto alle pulizie, Paolo Banci, svolgeva giornalmente il suo lavoro, armato di aspirapolvere e idropulitrice. Panerai ha spiegato che il Tiro a segno pistoiese è frequentato anche da vigili urbani e poliziotti, che vi venivano in veste ufficiale, non come privati. La sua ricostruzione del giorno della tragedia ha messo in risalto soprattutto i problemi incontrati dai vigili del fuoco. I primi a giungere – ha detto – non avevano acqua, l’autocisterna inizialmente entrò dalla porta sbagliata. Poi, quando finalmente fu in condizione di operare, la manichetta «esplose» per la pressione. Incalzato dalle domande dell’avvocato di parte civile Luca Innocenti, Panerai ha anche ammesso che il progetto per la linea di tiro poi andata a fuoco non era stato steso da un professionista; che lo stand di tiro fu aperto pur non possedendo l’agibilità; che non vi era un formale passaggio di consegne tra presidente uscente ed entrante. Tanto da dover ammettere di non aver mai letto una missiva del 2000 dell’Unione italiana tiro a segno che era giunta al poligono pistoiese. Prossima udienza il 1º luglio. Il processo dovrebbe concludersi a novembre.
Fabio Calamati
17 maggio 2013
Come mai l'UITS (vigilante) non è intervenuta commissariando la sezione?
Ciao