Autore Topic: DAGOSPIA - IL SILENZIO DEI NON INNOCENTI  (Letto 1064 volte)

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Offline VENDETTA

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DAGOSPIA - IL SILENZIO DEI NON INNOCENTI
« il: Gennaio 08, 2015, 20:11:36 pm »
http://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/silenzio-non-innocenti-sportivi-commentano-social-ogni-92029.htm
8 gen 2015 18:42
IL SILENZIO DEI NON-INNOCENTI - GLI SPORTIVI COMMENTANO SUI SOCIAL OGNI STRONZATA, MA SULL’ATTENTATO PARIGINO SONO STATI ZITTI, MANCO UN TWEET - SOLO RUDI GARCIA HA RICORDATO ‘’CHARLIE HEBDO’’ - IN FRANCIA “L'EQUIPE” HA DEDICATO LA COPERTINA AI FATTI DI PARIGI
Perché gli sportivi non hanno speso una parola sul massacro di Parigi? Paura di ritorsioni? Beata ignoranza sulla questione? Timore di intaccare i propri interessi? Pia illusione che il mondo dello sport sia al di sopra di questi eventi di sangue? Motivazioni che suscitano più di un brivido: oggi non si può non vedere, non sentire e soprattutto non capire…


Piero Valesio per “Tuttosport”

Chiamiamolo il silenzio dei non innocenti. Twittano su tutto, i nostri sportivi: nostri e non solo, per la verità. In genere su esiti di un evento agonistico, sulla propria situazione sentimentale o magari su quella di altri; sulle proprie serate, le promozioni commerciali di cui sono protagonisti, i loro programmi.
Su una palla che forse era entrata in porta o forse no; su un tecnico che ha sbagliato la gestione di una gara, su un gol strepitoso. Ma sui fatti di Parigi, sull’assassinio bestiale di giornalisti vignettisti, sodali di quelli che in tutto il mondo svolgono lo stesso lavoro ma occupandosi di sport invece che di politica, nemmeno una parola. Neanche un tweet.
Qualcuno in Francia le dita sante le ha messe in movimento per prendere parte alle campagne di solidarietà che sui social network sono partite dopo quello che è stato definito l’11 settembre dell’Europa: da noi calma piatta. Silenzio assoluto. Di tomba si potrebbe dire se non si rischiasse di apparire blasfemi. E’ come se gli idoli di quello che dovrebbe essere il linguaggio di pace e di compenetrazione fra culture diverse più potente al mondo avessero scelto di tenersi a distanza (a titolo personale, ma non solo) da un evento tanto doloroso e spinoso.
Dopo il crollo delle torri a New York si scatenò una corsa a dirsi newyorchesi d’adozione; ma tra noi e quell’evento c’era un oceano di mezzo. Era come se molti, da noi, si sentissero solo spettatori di quella tragedia e volessero in qualche modo prendervi parte.
Stavolta i big di quel linguaggio di cui sopra certo non si sono spellati le mani per dire o scrivere: anche io sono Charlie, dal titolo del giornale vittima dell’attentato. Paura di ritorsioni? Beata ignoranza sui termini della questione, il confronto sull’uscio di casa fra libertà e bieco oscurantismo? Timore di intaccare i propri interessi? Pia illusione che il mondo dello sport sia al di sopra di questi eventi di sangue? Ciascuna di queste presunte motivazioni suscita più di un brivido, a ben vedere: in questi nostri tempi non si può non vedere, non sentire e soprattutto non capire. In ogni caso, qualunque sia la motivazione, si è trattato di un silenzio: dei non innocenti, però.
Perché proprio agli sportivi toccherebbe ergersi contro questa monnezza esistenziale, diventare simboli visibili e responsabili non già dei loro portafogli ma della civiltà che deve battersi contro i mostri. Dispiace ragazzi, ma giova citare De Andrè e dirvi a chiare lettere: per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti.