http://periodici.repubblica.it/venerdi/index.jsp?num=1251&page=28Il no di Monti ha liquidato
l’eterna cricca dello sport
È stata la prima regola di ogni presidente del Coni, da che mondo
è mondo: ringraziare l’autorità all’inizio di un discorso importante,
anzi, anche non importante. Ringrazia e basta, sempre e comunque.
Ringrazia il ministro, il sottosegretario, il premier: al mondo si sta così.
Lo faceva perfino Onesti, il miglior dirigente che lo sport italiano abbia
avuto, ma erano altri tempi rispetto a quelli chiusi dalla mannaia calata
da Monti sul «sogno olimpico» di Roma. Più che il sogno di una città, in realtà
era quello del gruppo storico, molto storico, dei governanti dello sport
nazionale: chiudere alla grande la carriera ideando, battezzando
e poi gestendo il più sensazionale evento che un Paese possa organizzare.
Il no dell’autorità, pure tanto ringraziata, è stato dunque epocale
anche per loro: un no al diritto all’eternità del potere.
Ecco, il gruppo. Tre nomi su tutti, tre facce neppure troppo segnate,
considerando i lustri trascorsi sotto i riflettori: Mario Pescante,
che del comitato Roma 2020 era il presidente, Franco Carraro, che ne era
il padrino, Gianni Petrucci, capo del Coni e dunque titolare della proposta
olimpica. Lo sport, nell’ultimo trentennio, ha ruotato intorno
a loro, nel bene e nel male, i patriarchi (Petrucci, con i suoi 66
anni, è il ragazzo della compagnia, mentre Pescante e Carraro
di anni ne hanno 73 e 72) di una grande e intoccabile famiglia,
quella che governa le federazioni sportive. Governa e invecchia,
sulle poltrone di un settore che pure dovrebbe essere pieno
di energie, freschezza, forza creativa. E invece bastano pochi dati
a fotografare lo stato delle cose: l’età media dei presidenti
delle 45 federazioni affiliate al Coni supera i 62 anni.
Con otto ultrasettantenni e solo 4 presidenti sotto i 50 anni,
nessuno sotto i 40 e, naturalmente, nessuna donna. Il futuro
dei giovani che fanno sport è in queste mani, per capirci.
Che il sistema abbia bisogno di aria nuova è ormai evidente,
anche se metterci le mani non sarà facile per nessuno. Le riforme
che hanno toccato il Coni, pur consentendo agli atleti di affacciarsi nei palazzi
del potere, non ne hanno sanato le distorsioni. I meccanismi elettorali
consentono ai dirigenti di conservare cariche e potere con irrisoria facilità,
prolungando i mandati anche per decenni, come nel caso da Guinness
di Matteo Pellicone, 77 anni e da 31 (trentuno!) presidente della federazione
judo e lotta. Certo, la bocciatura di Roma suona come un congedo mesto anche
per quel terzetto. Pescante-Carraro-Petrucci, che ben sapeva quanto tutto fosse
appeso all’appoggio dell’autorità, quella che si ringraziava. L’autorità
di Gianni Letta, in particolare. Perché ora che il progetto 2020 è fallito,
si capisce ancor meglio cosa sia stato Letta per lo sport nel ventennio
berlusconiano. L’uomo che evitava i tagli nelle finanziarie, l’uomo che vigilava
sulle leggi che riguardavano l’Ente, l’uomo che «garantiva l’autonomia»,
l’uomo che dava i consigli giusti, indicava le persone adatte, mediava, coglieva
l’attimo. La candidatura di Roma 2020 era nata nella sua stanza a Palazzo
Chigi, nel 2009, quando era sottosegretario. Uscito di scena lui, è crollato
un mondo. Adesso è ora di ricostruirlo. Con facce e idee nuove.