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Pistoia, dopo le tre condanne in primo grado andranno in prescrizione a giorni le accuse per la morte di Riccardo Tarlati
di Massimo Donati
24 febbraio 2016
Carlo Rocchi, uno degli imputati,...
Carlo Rocchi, uno degli imputati, fugge dalla piccola stanza teatro del tragico rogo pochi secondi prima che si trasformasse in un inferno
PISTOIA. Una gestione sconsiderata, senza alcun rispetto delle più elementari direttive tecniche di sicurezza. Insomma, quell’incendio non sarebbe potuto divampare se pareti e pavimento non fossero stati ricoperti di residui incombusti di polvere da sparo, come invece erano a causa di tali inadempienze. Il 10 febbraio di due anni fa furono tre le condanne per omicidio colposo inflitte dal tribunale di Pistoia al termine del processo per la morte di Riccardo Tarlati, noto commerciante e fotografo pistoiese che perse la vita nel terribile rogo che, il 24 luglio 2008, devastò il Tiro a segno nazionale di via dei Macelli, dove si trovava per esercitarsi con il suo fucile.
Ieri mattina, la Corte d’appello di Firenze ha rinviato a nuovo ruolo il processo di secondo grado, mettendo, di fatto, una pietra tombale sul procedimento. I reati contestati, infatti, cadranno in prescrizione il 26 febbraio, venerdì. Secondo la legge, è ormai passato troppo tempo, e per quella terribile tragedia non vi saranno colpevoli. Una decisione scontata, quindi, quella dei giudici fiorentini di aggiornare l’udienza, visto che il processo non sarebbe mai potuto sopravvivere fino al terzo grado di giudizio, quello definitivo.
Per il reato di omicidio colposo, ad essere condannati a un anno e sei mesi con la sospensione condizionale della pena furono Daniele Cecchi, all’epoca dei fatti presidente del Tiro a segno (difeso da Andrea Niccolai), Carlo Rocchi (avvocato Giuseppe Castelli), componente del direttivo e, in occasione del drammatico incidente, direttore di tiro, e Paolo Banci, difeso da Cecilia Turco, altro membro del direttivo e responsabile della pulizia delle linee di tiro.
Il rogo mortale si verificò nella zona del poligono definita linea dei 100 metri: una struttura definita ibrida, in quanto il tiratore si trova al chiuso e spara ad un bersaglio esterno distante 100 metri attraverso una piccola finestrella nella parete di fronte, a qualche metro da lui. Una sorta di scatola completamente chiusa, suddivisa da un muro in due ambienti (con due linee di tiro ciascuno), uno dei quali suddiviso a sua volta a metà da un’altra parete. Il tutto con una sola uscita.
Lì Riccardo Tarlati rimase intrappolato quando le fiamme divamparono a causa delle scintille di uno sparo finite sulle pareti coperte di polvere incombusta.
Come sostenuto allora in aula dal pm Giuseppe Grieco, prima responsabilità del Cecchi era stata quella di non aver assicurato la bonifica dell’ambiente. Seconda, quella di aver consentito, a suo rischio e pericolo, che l'attività andasse avanti in una struttura realizzata senza il rispetto delle direttive tecniche del Genio militare (massima autorità in materia) e priva di un'agibilità che mai avrebbe potuto ottenere.
Per quanto riguarda Rocchi, stante il fatto che la linea dei 100 metri non aveva l’obbligatoria postazione per il direttore di tiro, il pm ritenne che l’imputato avrebbe dovuto comunque piazzarsi nel punto più idoneo da cui controllare l’attività dei tiratori. Invece si trovava in una delle linee di tiro, probabilmente per esercitarsi lui stesso visto che nel registro risultava iscritto tra coloro che doveva sparare. E da lì non si sarebbe accorto di ciò che stava succedendo, non potendo quindi dare direttive immediate per fare uscire tutti in una situazione in cui ogni istante si sarebbe rivelato prezioso: 14 i secondi intercorsi dal momento in cui era divampata la prima fiammella e quello in cui il locale si era trasformato in un inferno.