http://www.informazioneonline.it/LAY009/L00908.aspx?arg=1050&id=24530INCENDIO AL TIRO A SEGNO DI OLGIATE. I VERTICI A PROCESSO
L’accusa chiede due anni di carcere. “Quel poligono era una polveriera”
BUSTO ARSIZIO - Nel processo in cui sono alla sbarra i vertici del poligono nazionale di Olgiate Olona, il commissario di tiro Bruno Romagnolo e il presidente Lazzaro Mandelli rischiano una condanna a due anni di reclusione per omicidio colposo dopo l’incendio scoppiato al tiro a segno di via Unità d’Italia il 7 settembre 2013. La pena è stata chiesta, al termine di tre ore di requisitoria, dal pubblico ministero Nadia Calcaterra.
“Quel poligono era una polveriera - ha sottolineato la pubblica accusa nella sua invettiva - ed è bastata una scintilla per propagare un incendio con questa velocità e di tali dimensioni”.
Quarantacinque secondi. Tanto è bastato perché la zona di tiro dove quel giorno un gruppo di persone si stava esercitando con l’avancarica prendesse completamente fuoco.
A un certo punto una scintilla si sprigionò dalla griglia dove cadono i proiettili sparati e i residui di polvere, scoppiò un piccolo incendio che il commissario di tiro bloccò con un estintore. Tuttavia il rogo si sparse di nuovo.
A farne le spese fu Pasquale Pellegrino. In circostanze tragiche fu investito da una fiammata e si trasformò in una sorta di torcia umana. Rimase intrappolato nel rogo finché non fu letteralmente spento dalle fiamme che l’avvolgevano su tutto il corpo da un istruttore del poligono.
Il cinquantaduenne di Gallarate morì venti giorni dopo in ospedale, in seguito alle gravissime ustioni riportate sul 90% del corpo.
Decesso che, secondo la Procura, fu conseguenza di mancata sicurezza e organizzazione interna alla struttura di tiro di Olgiate.
“Romagnolo e Mandelli non si resero conto che stavano gestendo una struttura, per sua natura, pericolosa” ha rincarato il pm, sottolineando la mancanza di un piano di emergenza in caso di incendio. Nella struttura erano presenti infatti, per stessa ammissione degli imputati, soltanto sei estintori distribuiti nei tre “stand” del poligono (le due aree di tiro e gli uffici direzionali).
Inoltre, la “Direttiva Tecnica per i Poligoni di Tiro chiusi a cielo aperto” (questa è la sua denominazione specifica) “non solo era ignorata - ha detto il pubblico ministero, Nadia Calcaterra - ma anche totalmente sconosciuta”.
Senza considerare che l’autorizzazione per svolgere l’attività di tiro era scaduta e che “i responsabili del poligono - ha chiuso la pm - sapevano della necessità di effettuare le operazioni per il rinnovo fin dal 2012”.
Da qui la richiesta di due anni di reclusione avanzata dalla pubblica accusa, che tiene in considerazione la correttezza della condotta processuale degli imputati. La difesa replicherà il 9 settembre. Poi la sentenza che sarà emessa dal giudice monocratico Sara Cipolla.
Alessio Murace
pubblicato il: 22/07/2016