https://www.atleticalive.it/malago-il-coni-senza-piu-soldi-e-il-caso-atletica/Malagò, il CONI senza più soldi e il “Caso Atletica”
Posted on 02/11/2018
Non so se l’avete notato, ma il Presidente del CONI Giovanni Malagò sembra improvvisamente invecchiato di colpo: il collo molto più rugoso, il volto allungato e stanco, lo sguardo vacuo. Almeno, questo osservando le fotografie diffuse negli ultimi giorni dai media del numero uno dello sport italiano.
E sicuramente non avrà giovato al suo aspetto il colpo di mano del Governo al suo mondo dello sport. Sintetizzando quello che potrebbe essere lo scenario futuro: il 90% dei fondi destinati al CONI, con il collegato alla Legge di Bilancio, passerà alla partecipata (quindi controllata dai governanti di turno) “Sport e Salute s.p.a.” nella quale il CONI stesso non potrà più metterci piede anche grazie a clausole di salvaguardia che impediranno ai dirigenti sportivi di rimettere la mano sul malloppo anche indirettamente (almeno temporalmente). Certo, aspettiamo di vederla approvata, ma…
Sembra che anche dopo l’incontro tra lo stesso Malagò e Giorgetti, sottosegretario con delega allo sport (e di fatto il nuovo “capo” dello sport), il vento non sia cambiato e anzi, che il testo che sancirà la morte di Coni Servizi e la creazione di Sport e Salute s.p.a. (con tutte le conseguenze che ne deriveranno) stia viaggiando spedito verso l’approvazione.
La reazione di Malagò sembrerebbe esser stata quella di chiudersi in conclave non con il Consiglio Federale del CONI, ma con due grandi vecchi dello sport (come riporta il Corriere dello Sport), come l’eterno Franco Carraro (classe 1939 e Presidente praticamente di tutto lo scibile in termine di cariche in Italia, dalle banche, ai ministeri, al comune di Roma, allo stesso CONI, passando per le società di calcio, alle singole federazioni, e soprattutto il comitato Olimpico internazionale… e chi più ne ha più ne metta) e l’eterno Mario Pescante (classe 1938, che condivide con Carraro la membership allo IOC). Insomma, probabilmente si cercano sponde politiche e suggerimenti per arginare l’imminente cataclisma.
Malagò ha un bel di rispondere “no, direi proprio di no“, alla domanda: “lo sport italiano ha bisogno di questa riforma?“. Certo, lui stesso verrà grandemente ridimensionato, ma lo sport con Malagò è diventato troppo spesso uno strumento di autoaffermazione e non il fine per il quale la società (e il CONI, creato appositamente) dovrebbe rivolgersi. Ricordiamoci che all’articolo 2 dello Statuto del CONI si legge come l’Organismo presieduto da Malagò…
“è autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive, intese come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell’individuo e parte integrante dell’educazione e della cultura nazionale”.
Aspetto questo che si è con tutta evidenza incrinato. L’immagine più emblematica di questa gestione politica “coniana” dello sport è indubbiamente l’atletica leggera. Leggere le parole di Malagò dopo ogni disastro patito durante i mandati giomiani, o, come da ultimo, il silenzio e i mancati commenti, ed infine e soprattutto la non-azione di fronte ad una panoramica di grande imbarazzo per i risultati è la cifra di questo disinteresse che è un vulnus che colpisce nel sociale, prima ancora che nelle medaglie.
E’ evidente, non conosciamo i motivi della non-azione di Malagò e del Governo del Coni sulle sorti dell’atletica quando sarebbero stati dovuti e nonostante si possedessero tutti gli strumenti (anche e soprattutto giuridici) per farlo, ma certo è che con il calcio, nonostante i conti correnti fossero più che floridi, il “disastro” della mancata qualificazione ai mondiali è costato un commissariamento (che si è rivelato dalle conseguenze disastrose: vedasi il caos dei Campionati di Serie B e C) e lo scranno di Tavecchio.
Malagò, incalzato da qualche giornalista a suo tempo sul doppio trattamento calcio-atletica, ha buttato lì una battuta del tipo “però l’atletica qualche medaglia la vince“, e con questo dimostrando quanto poco tenesse (e tenga) alle sorti di questo sport e quanto invece alla sopravvivenza politica di chi lo guida. Perchè?
Senza dimenticare tutte le reprimende successive ai diversi disastri come Pechino ’15, Rio ’16, Londra ’17 dove ha pure rincarato la dose invocando giri di vite che poi di fatto non ci sono mai stati. Per fortuna dopo Berlino ’18 ha preferito non dir più nulla: meglio evitare di parlare ancora una volta al vento. Ora, delle due, l’una: o Giomi & C. hanno fatto sì col capo e poi non se lo solo filato continuando imperterriti per la loro strada (e continuando ad inanellare disastri), o fa parte tutto di una commedia delle parti ad uso e consumo dei media. Dopo Berlino l’unico a parlare, e dopo oltre un mese dai “fatti” è stato infatti proprio Giomi, sostenendo pure di essere in piena sintonia con Malagò. Nessuna reazione di Malagò. Ma ci sono stati segnali di insofferenza, che abbiamo comunque percepito (il silenzio protratto è il primo indizio).
Che poi sembra che molti abbiano la memoria corta, e i giornali sportivi (che dal CONI e dalle Federazioni traggono le loro informazioni, ovvero la materia prima per scrivere) certo non ci risulta siano andati a chiedere a Malagò conto delle diverse dichiarazioni post-disastri, e così il periodo più buio dell’atletica italiana ha continuato come se nulla fosse senza vere sterzate, idee, progetti, rivoluzioni. Ancora pochi giorni prima degli Europei di Berlino Giomi sventolava, dopo 6 anni di mancati risultati, il successo del decentramento millantando le medaglie ai campionati giovanili (e forse anche ai Giochi del Mediterraneo) quando l’anno prima (dopo il tonfo di Londra) Malagò aveva chiesto di smetterla di finanziare a pioggia troppi allenatori (qui l’articolo della Gazzetta).
L’organo di governo dello sport avrebbe dovuto invece guidare il cambiamento politico-gestionale, e invece è stato a guardare.
Ebbene, Cui prodest? A chi giova che l’atletica rimanga in questa stagnazione, se tutto va a rotoli? A chi giova, se non esistono scenari positivi e circoli virtuosi all’orizzonte e se ci si affida sempre a soggetti che avevano già scritto la storia decadi fa e cui forse sarebbe il caso di lasciare alle loro incombenze private piuttosto che trasformarli sistematicamente nei nuovi traghettatori (di fatto dei simulacri)?
Esistono evidentemente dinamiche su altri piani verticali che non conosciamo e che, deduttivamente, sono ritenute più importanti (della salvezza di uno sport) dai rispettivi attori, e i nomi li conoscete.
Ora però lo scenario potrebbe essere finalmente stravolto: il più grande strumento di controllo in mano al CONI, ovvero i 410 milioni di euro concessi dallo Stato annualmente, svaniranno, lasciando le briciole di 40 milioni per la preparazione olimpica. La riforma partirebbe nel 2020, purtroppo, ma ci si accontenta.
I denari verranno concessi alle Federazioni non più dal Coni, ma dallo Stato, e qui finalmente e giustamente, la gestione del denaro pubblico ritornerebbe nelle mani dei rappresentati del popolo. E gli errori, e le loro conseguenze (come elargire milioni di euro ad una federazione sportiva che magari li ha sperperati) diventerebbero motivo di confronto politico ed elettorale.
Questo è il tema: se io elettore vedrò che lo Stato (tramite la nuova società partecipata) concederà denaro pubblico a dei buchi neri (come certe federazioni) che non produrranno nulla dal punto di vista dei risultati e del ritorno sociale della loro attività, potrò protestare e saprò con chi prendermela e come reagire, ovvero non voterò gli esponenti politici di quel governo o di quelle parti politiche. E io Stato, di fronte alla mala gestione del bene pubblico, sarò costretto a rispondere a quelle stesse logiche di trasparenza, efficacia, coerenza a pena della mia credibilità (e rielezione). Almeno, in un mondo perfetto e in una democrazia sana. La stessa cosa non poteva accadere con le Federazioni, ermeticamente chiuse su sè stesse, plasmate su regole elettorali che favoriscono il permanere dello Status Quo, e sorde alle critiche e alle rimostranze (tanto che le eventuali critiche sono anche passibili di procedimenti giudiziari sportivi, pensate un pò).
Ci siamo dilungati, ma il tema deve interessare a tutti gli sportivi: lo sport italiano sopravvive non esclusivamente grazie al Coni e ai suoi sforzi (sul Corriere dello Sport si timbravano i successi degli ultimi 20 anni quasi come se dietro a tutto avesse operato il Comitato Olimpico Nazionale come giocatore unico…), come ci vogliono far credere, ma più strumentalmente al fatto che la presenza dei gruppi sportivi militari garantisce agli sport di nicchia di essere competitivi a livello mondiale e di vincere medaglie olimpiche.
Laddove inizia ad esserci professionismo, lo sport italiano sparisce. Così è successo all’atletica: finchè gli stipendi statali erano competitivi con un mondo sportivo mediamente povero, la stessa atletica riusciva ad competitiva a livello mondiale. Quando i soldi hanno iniziato a circolare, all’inizio del XXI secolo, l’Italia è stata cancellata dagli scenari internazionali probabilmente ben oltre i propri demeriti costringendola a sperare negli exploit una tantum.
Quando poi sono finiti anche gli exploit che avevano consentito di sopravvivere nella prima decade del XXI secolo, ci siamo ritrovati con in mano un bel pugno di mosche e la speranza indefessa di futuri exploit che per la Legge dei grandi numeri, con un pò di fortuna e bravura, potrebbero ancora arrivare.