leggetevi questo.................................
La confessione Il racconto autobiografico di Niccolò Campriani sull'ombra che minaccia l'atleta in bilico fra il trionfo e la depressione
Quel maledetto ultimo colpo
La paura di vincere che attanaglia i tiratori nel momento decisivo L'amico rivale Il caso limite di Matthew Emmons che per due volte alle Olimpiadi, tradito dall'emozione, finì per sparare senza volere sul bersaglio sbagliato
C erte volte la cattiveria spara in anticipo. «Ma quand'è che farai finalmente centro all'ultimo colpo?». Alle conferenze stampa dopo una premiazione olimpica in genere la prima domanda è per il vincitore, non per la medaglia di bronzo. Il cronista americano ci mise anche un sorriso perfido, a sottolineare un quesito che solo gli addetti ai lavori della carabina, lo sport era questo, potevano comprendere in tutta la sua inutile velenosità. Matthew Emmons, il destinatario, fece una smorfia, si strinse nel giubbotto di camoscio e avvicinò la bocca al microfono. «Posso rispondere io?». La voce era quella di Niccolò Campriani, il nostro vincitore, nostro nel senso che si trattava di un perfetto sconosciuto, figlio di uno sport minore, ma da pochi minuti titolare di una medaglia d'oro a Londra 2012. «E proprio mentre pronuncio queste parole sento una vampata di caldo in faccia. È la rabbia. O la timidezza. O tutte e due le cose insieme. I giornalisti mi guardano gelati: ho infranto il protocollo. Non credo capiti spesso alle Olimpiadi». Ci sono libri che raccontano una vita per momenti, come fosse una galleria di quadri, e altri che raccontano una vita in un solo momento. Ricordati di dimenticare la paura (edito dalla Mondadori), bello a cominciare dal titolo, appartiene alla seconda categoria. Perché sceglie una strada poco frequentata, come il racconto delle proprie fragilità e paure, delle ferite non solo metaforiche che ti lascia addosso una disciplina ossessiva come il tiro con la carabina, scelta perché un figlio segue sempre il padre. E se qualcuno sta pensando a Open di Andre Agassi, fatte le debite proporzioni ci stiamo muovendo in quel territorio. Non l'autocelebrazione per obbligo contrattuale, ma una confessione onesta delle proprie sofferenze e debolezze. Quel giorno a Londra Campriani disse che il povero Emmons, che intanto lo guardava con una espressione da cerbiatto spaurito, aveva perso l'oro ma restava la persona che lui ammirava di più nello sport e nella vita, che la sua resilienza davanti alle sconfitte e ai colpi della vita era sempre stata la sua fonte di ispirazione. Finì il suo discorso sopprimendo un singhiozzo di commozione. Emmons, che gli sedeva a fianco, gli prese la mano, si voltò di lato per non fare vedere il viso rigato di lacrime. Nessuno di noi giornalisti poteva affermare in sincerità di conoscere il «nostro» campione, del quale tutti stavamo cercando frettolosamente una biografia che ce lo rendesse meno ignoto, ma capimmo che non era uno come gli altri. E soprattutto c'era qualcosa di forte che univa quei due, l'ingegnere fiorentino e l'americano dallo sguardo triste. Questo libro è soprattutto il racconto di due vite parallele che si uniscono per lenire le proprie ferite. Sono entrambi predestinati al successo. Sono entrambi fragili, sapendo di esserlo. L'incontro al villaggio olimpico di Campriani con il presidente del Coni Gianni Petrucci è l'emblema di questa consapevolezza destinata ad emergere, prima o poi. Il «capo» gli dà un buffetto. Dai, che la ricreazione è finita, gli dice. Una frase innocente, come tante. «Mi si gela il sangue. Difficilmente si potrebbe sintetizzare meglio l'equivoco in cui ero caduto, tutto ciò da cui sono scappato negli ultimi quattro anni». Alle Olimpiadi di Pechino era stato davanti a tutti, fino all'ultimo colpo. «Due monete, una sopra l'altra, creano uno spessore di 3,34 millimetri. Nella vita normale è niente. Nel tiro a segno è la differenza che passa tra un 10 e un 8. Cioè la misura del mio fallimento: ho sbagliato. Dopo 59 colpi perfetti sono fuori dalle Olimpiadi. Tradito dal mio cuore. Eliminato. Tutto è perduto. Per due centesimi».La scelta di prendersi una «ricreazione», tornare sui libri, abbandonare la carabina, ancora non basta per guarire dalla depressione. Non basta lo psicologo, non bastano le cure. I demoni devi guardarli in faccia. Devi trovare qualcuno che ti guidi nella sofferenza, che la conosca meglio di te. Matthew Emmons è quella persona. Poteva essere il più grande di tutti i tempi. Divenne quasi una barzelletta per giornalisti cattivi. Ad Atene 2004 commise una degli errori più grandi della storia dello sport, non solo della carabina. Di tutti gli sport. Stava dominando. Ultimo tiro. Il boato di sorpresa del pubblico. Aveva sparato nel bersaglio del concorrente accanto a lui. Finì ultimo. A Pechino fu quasi peggio, perché era la seconda volta. Dominava. Ultimo tiro. Premette il grilletto per errore. Tradito da se stesso, ancora una volta. Dopo il fallimento cinese, Campriani lotta contro i suoi demoni. Accetta una borsa di studio in America. Ricomincia a sparare, ma qualcosa si è rotto. In una notte senza sonno manda una mail a Emmons. L'unica persona al mondo che lo può capire, chi meglio di lui. Ricordati di dimenticare la paura è la storia dell'amicizia tra due ragazzi interrotti. Della loro ricerca di una normalità che renda immuni dall'ossessione rappresentata da quella carabina, e dai fallimenti che essa comporta. Le loro debolezze fanno nascere una forza. Ci sono passati entrambi. Nel 2010 Matthew ha anche scoperto di avere un tumore alla tiroide. «Pensa se non avessi fatto quell'errore» dice a Niccolò. Non avrebbe conosciuto sua moglie, l'unica atleta che lo consolò dopo quella umiliazione in mondovisione. Non avrebbe capito che la bolla dell'ossessione si può anche bucare. Sarebbe un vincente, ma una persona peggiore. C'è tutto questo, nella bellezza di quel momento a Londra e del libro di Campriani. Forse le strade si separano proprio in quel punto. Niccolò ha vinto, non è più prigioniero. Matthew è ancora in catene, ancora sconfitto, ma ormai è un uomo diverso. Per dirla con Richard Ford, adesso sanno entrambi come si fa. Si sono aiutati a vicenda. Hanno affrontato insieme la rovina. Hanno evitato il rimpianto. E sono qui a raccontarlo.
Pagina 58
(13 aprile 2013) - Corriere della Sera