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A Milano il poligono virtuale dove i manager si addestrano a combattere le crisi
di Alessandra BonettiCronologia articolo13 luglio 2011Commenti (1)
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Argomenti: Management | Fabrizio Comolli | Forze Armate | Italia | Davide Padovan | Urban
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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2011 alle ore 15:43.
Uno, due, tre, quattro colpi in successione. Il busto si gira a cercare il bersaglio, lo sguardo è fisso per cogliere il minimo movimento e il dito sempre sul grilletto. A 10 metri, c'è la "scena del crimine".
Che ognuno può scegliere in base all'estro del momento: una collina infestata dagli zombi, una rapina o un check point, muovendosi nel buio della notte o dentro un edificio, con una missione ben precisa: "sei un agente di sicurezza e qualcuno si è introdotto nell'edificio di tua competenza. Muoviti al suo interno prestando attenzione alle stanze con armadi e scrivanie, nonché agli angoli insidiosi. Non hanno buone intenzioni!".Simulazioni di guerra, alla periferia ovest di Milano, prima di Cusago, in via Riccardo Lombardi, dove ha aperto il primo poligono di tiro virtuale, "Urban 9mm": una superficie di 5mila metri quadrati di palestre e un sistema di simulatori pensati per l'addestramento delle forze armate ma aperti a tutti. «Qui vengono ad allenarsi operatori delle forze dell'ordine, ma anche chi vuole divertirsi – dice Davide Padovan, ideatore di Urban 9mm –. Naturalmente abbiamo preso le nostre precauzioni, ci siamo costituiti in associazione in modo da tesserare chi entra e allontanare gli esaltati, inoltre i video con gli scenari più realistici sono riservati solo agli operatori del settore, per i privati abbiamo creato filmati horror, con attori mascherati e travestiti, perché il fine deve essere ludico». Un grande videogioco, dove a imbracciare pistole e fucili automatici – identici come peso e modello a quelle vere, ma che al posto dei proiettili hanno un puntatore laser sulla canna –, vengono signore in tailleur, manager e professionisti: «Il tiro a segno, nelle sue varie specialità, è una disciplina sportiva e un'attività molto seria che sviluppa capacità di concentrazione, autocontrollo, perseguimento di un obiettivo» spiega Fabrizio Comolli, che lavora nell'ambito della formazione come esperto di psicologia del combattimento.
Un training che viene utilizzato anche dalle aziende che organizzano seminari di softair, survival e adventury per addestrare i propri dipendenti: «L'ufficiale o il combattente non è Rambo, ma un gestore di uomini e un grande pianificatore. La diffidenza nasce da un equivoco di fondo che lega le armi alla violenza. Ma l'aggressività non sta nello strumento. I bambini crescono giocando alla guerra o facendo a botte, è un istinto naturale che non va represso ma educato, esorcizzato e il gioco serve proprio a questo».
Come dire, i delinquenti non giocano alla guerra, la fanno «e non vanno ad addestrarsi al poligono». Eppure quello delle piste da tiro è un mondo nascosto: in Italia sono circa 300 i poligoni nazionali, di cui 32 in Lombardia con 11 mila tesserati a Milano. A questi si aggiungono cave dismesse e campi privati, tutti sottoposti per legge al controllo del Genio militare. Ma basta farsi un giro fra i siti di appassionati, come
www.tiropratico.com, per leggere di tiratori che le armi se le portano in fondina anche durante la pausa caffè e di incidenti sulle linee di tiro.
E ancora edifici fatiscenti, erba secca, gestioni incoscienti come denuncia sistematicamente un altro blog, midivertodamorire.blogspot.com. «
Il problema di sicurezza nei poligoni non è una fantasia – ammette Padovan – Io stesso ho rischiato di rimanerne vittima per colpa di uno sprovveduto che sparava vicino a me». Meno rischioso e più affidabile il virtuale. «Il rischio del prurito di vivere una situazione al limite della realtà esiste, ma come c'è nei videogiochi che spesso i ragazzi usano nel chiuso della loro cameretta, senza controllo o educazione – afferma Comolli – Attraverso la simulazione si insegna a maneggiare un'arma, è vero – ammette Comolli –. Ma è una responsabilità che deve presupporre un contesto ben chiaro, con regole precise, sicurezza e sorveglianza». Perché, come dice Jane McGonigal, guru dei videogames, anche "giocare è un lavoro difficile".